lunedì 23 dicembre 2013

Natale 2013

“Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo”

“Anche Gesù avrà pietà di quest'odio. La sua mamma, la notte di Natale non volle andare all'albergo: “Meglio una stalla che coabitare”. L'ha detto la Madonna!
Ci credo Signore: Non aver casa  è peggio che non aver  pane”

842 milioni di persone (dati Fao) si coricano con lo stomaco vuoto. Un altro miliardo, circa, ha il piatto troppo pieno e il corpo minacciato dall’eccesso di viveri.

Eppure la situazione generale sull’insicurezza alimentare sembra migliorata in questi anni. Così almeno sembrano dirci i risultati dell’Indice globale mondiale della fame 2013 (Ghi, nell’acronimo inglese), che è diminuito di quasi il 34% rispetto a quello del 1990, passando da 20.8 a 13.8 (a 0 c’è l’assenza di fame). Tutte le regioni hanno fatto progressi, compresa l’Africa subsahariana. Nel mondo, secondo la Fao, sono circa 165 milioni i minori di 5 anni che soffrono di malnutrizione cronica; 3,1 milioni quelli che muoiono. Solo il Ghana, tra gli africani, risulta tra i 10 paesi del pianeta che hanno maggiormente ridotto il Ghi dal 1990. Anche se il rapporto segnala altri stati continentali che hanno raggiunto miglioramenti sensibili: dall’Angola all’Etiopia, dal Rwanda al Malawi e al Niger.

Ma non sempre queste fotografie algoritmiche sono nitide. Ad esempio, in un rapporto diffuso dall’Unicef (agenzia Onu per l’infanzia) il 17 ottobre, in Niger sono morti di malnutrizione più di 2.500 bambini con meno di 5 anni. Nella regione di Zinder, nel Niger centro-orientale, da gennaio a settembre 2013 sono stati registrati 79.087 casi di denutrizione acuta e severa e oltre 300mila sono stati i bambini curati per malnutrizione. Il Niger sarà pure salito in classifica, ma la situazione resta precaria. Anche per quei suoi contadini e pastori che nei 5 mesi che vanno da maggio a settembre faticano a soddisfare il loro fabbisogno alimentare.
Questo ci induce a leggere con prudenza tabelle e indici: molto spesso, infatti, sviluppo non equivale a crescita economica, altrimenti non si spiegherebbe come mai il Mozambico, tra i paesi che macina importanti percentuali di crescita di Pil ogni anno, ristagni ancora nei bassifondi della classifica dell’Indice della fame.

Esattamente 10 anni fa venne firmata dagli stati africani la “Dichiarazione di Maputo” nella quale si impegnarono a dedicare il 10% del loro budget all’agricoltura. Un impegno rimasto sulla carta. I governi africani si sono invece dati da fare nello spalancare le porte ai grandi gruppi stranieri pronti a versare ingenti capitali nell’accaparramento e sfruttamento delle terre, ambite quanto una miniera d’oro. L’Africa possiede circa la metà di tutti i terreni utilizzabili non coltivati del pianeta, circa 220 milioni di ettari. A fare le spese del “land grabbing” sono i piccoli agricoltori locali. Che non ricevono aiuti neppure dal sistema finanziario: sebbene l’agricoltura rappresenti ancora il 40% del pil di alcuni paesi del continente, solo lo 0,25 dei prestiti bancari sono indirizzati ai piccoli agricoltori. Pochi finanziamenti. E anche poca ricerca. Secondo uno studio dell’Associazione per la rivoluzione verde in Africa, il continente ha il numero più basso al mondo di personale impegnato nella ricerca agricola, con solo 70 ricercatori per ogni milione di abitanti, a differenza di Usa e Giappone che hanno rispettivamente 2.640 e 4.380 ricercatori.

La sicurezza alimentare passa anche da queste vie.



(Fonti: Nigrizia, Vangelo di Luca, Lorenzo Milani, Giotto)


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