“L’uomo della porta accanto” (procuratore capo di Firenze); “Un uomo tranquillo, niente di strano”, (il fruttivendolo all'angolo, il salumiere e poi l’elettricista a neanche cento metri dall'appartamento dignitoso dove Riccardo Viti passava le sue giornate).
Rileggo alcune frasi dell’uomo di Firenze che ha confessato di aver seviziato ed ucciso una donna, dopo averla “crocifissa” con dei manici di scopa e nastro isolante.
“Signor giudice non so nemmeno io quante volte l’ho fatto Non volevo che finisse così. Speravo che si salvasse anche lei. Io non volevo farle male, volevo solo giocare”.
“Ho capito subito che avevo fatto una cazzata. Ho capito che avevo calcato troppo la mano. Io non volevo che loro provassero dolore. Era un gioco. Se si lamentavano scappavo. Se resistevano finiva lì”. “Non immaginavo che finisse così... Sono un uomo finito, chi mi salva più”. “Mia moglie tornava dal lavoro sempre stanca. Aspettavo che andasse a letto e poi io uscivo. Avevo bisogno di uscire”.
Se riesco a sollevare lo sguardo dalla brutalità del gesto e a sospendere l’impellente giudizio morale che mi assale, vedo un uomo che non è mai stato a contatto con le proprie emozioni a cui è stato precluso nel suo cammino umano quel percorso di crescita personale intrapsichico, che attraverso le zone più profonde dell’essere, porta alla maturità affettiva. Che vuol dire conoscenza e accettazione della propria natura ma con in più una capacità di elaborazione e gestione di sé tale da incrementare e ottimizzare le proprie risorse, qualità, talenti, potenzialità. E’ questo che ci può portare all'equilibrio emotivo, al controllo intelligente e consapevole delle emozioni, non attraverso la repressione coatta ma armonizzando l’emotività con la totalità della propria esistenza.
Nessun commento:
Posta un commento