mercoledì 26 marzo 2014

Un Ebreo marginale

Ho letto in questi giorni il  libro di John P. Meier intitolato: Un Ebreo marginale. Naturalmente solo il primo volume per adesso, che sono quasi cinquecento pagine, condito di poderose note e bibliografia. Perché l’opera consta di ben cinque volumi, il secondo libro addirittura di mille pagine, mentre si sta aspettando che l’autore produca il quinto, sperando ce la faccia anche come tempo, visto che fra l’uno e l’altro volume ci impiega circa dieci anni. Di cosa tratta l’Ebreo marginale? Di un tema che ha appassionato i critici e gli storici tra i più famosi e raffinati. Cosa possiamo dire di Gesù dal punto di vista della storia, prescindendo cioè dalla fede e dalla teologia? Usando, cioè, soltanto ciò che i documenti, fonti dipendenti ed indipendenti, ci dicono su questo personaggio che ha cambiato la storia dell’umanità e la vita di generazioni di uomini e donne. La ricerca sul cosiddetto Gesù storico (della storia o reale) sembrava giunta ad un’empasse. Per alcuni nulla si poteva affermare sulla storicità delle fonti, per altri i risultati erano così scarni che ogni impresa doveva considerarsi improba, se non votata al fallimento. L’opera di Meier ha il pregio di riprendere in mano la questione in maniera nuova. Innanzitutto perché fin da subito esplicita il metodo e mai vi si discosta. Elenca presto i criteri storici ai quali si atterrà nel valutare il materiale proveniente dal Gesù storico: il criterio dell’imbarazzo; della discontinuità; della molteplice attestazione; della coerenza e quello del rifiuto e dell’esecuzione.
Certo oggi la ricerca storica sul primo secolo ha fatto progressi enormi, la nostra conoscenza sull’ambiente nel quale Gesù crebbe e operò ha ricevuto apporti notevoli dalla conoscenza sempre più raffinata del giudaismo dell’epoca, dai reperti archeologici sempre così ricchi e importanti (si pensi al ritrovamento dei rotoli di Qumran). Alla fine dell’indagine ci aspetteremmo di sapere chissà cosa, forse di avere una carta d’identità del personaggio in questione o di essere assicurati che tutto quello che viene riportato dai quattro scritti chiamati vangeli sia storico ed accertabile. E non spesso filtrato dalla particolare teologia di ogni autore, dalla fede sua o della comunità di appartenenza che ha consegnato e talvolta generato una particolare tradizione su Gesù. Oppure dal lungo cammino redazionale che ogni singolo libretto ha intercorso per arrivare a noi come è oggi, coi suoi molteplici testimoni. Qualcuno potrebbe rimanere deluso. Meier verso la fine del libro così scrive: “Gesù di Nazareth nacque – più verosimilmente a Nazareth e non a Betlemme – nel 6 o 7 a.C. circa, qualche anno prima della morte del re Erode il Grande (4 a.C.). Dopo un’educazione non straordinaria in una famiglia devota di contadini giudei della bassa Galilea, fu attratto dal movimento di Giovanni il Battista, che cominciò il suo ministero nella valle del Giordano verso la fine del 27 d.C. o all’inizio del 28. Battezzato da Giovanni, subito, per conto suo, Gesù cominciò, agli inizi del 28, il suo ministero pubblico, quando aveva circa trentatré o trentaquattro anni. Alternò regolarmente la sua attività tra la nativa Galilea e Gerusalemme (inclusa l’area circostante della Giudea), salendo alla città santa per le grandi feste, quando grandi folle di pellegrini potevano garantire un uditorio che altrimenti non avrebbe potuto raggiungere. Questo ministero si protrasse per due anni e pochi mesi. Nel 30 d.C., mentre Gesù era a Gerusalemme per l’approssimarsi della festa di pasqua evidentemente ebbe la sensazione che la crescente ostilità delle autorità del tempio di Gerusalemme nei suoi confronti stesse per raggiungere il culmine. Celebrò un solenne banchetto di addio con il gruppo più ristretto dei suoi discepoli un giovedì sera, il 6 aprile secondo il nostro computo moderno, l’inizio del quattordicesimo giorno di nisan, il giorno della preparazione di pasqua, secondo il compito liturgico giudaico. Arrestato nel Getsemani nella notte fra il 6 e il 7 aprile, dapprima fu esaminato da alcuni capi giudei (meno verosimilmente dall’intero sinedrio) e poi consegnato a Pilato venerdì, 7 aprile di buon mattino. Pilato, rapidamente, lo condannò a morte per crocifissione. Dopo essere stato flagellato e schernito, Gesù fu crocifisso, fuori Gerusalemme, nello stesso giorno. Morì la sera di Venerdì, 7 aprile 30. Aveva circa trentasei anni”. (pg. 412).
Questo è quanto. Ma è tantissimo se pensiamo che Gesù fu, appunto, un “marginale”, vissuto ai confini/margini dell’imponente impero romano. Di molti personaggi pur notissimi dell’antichità (Alessandro Magno per esempio) sappiamo molto meno. Di qualche imperatore romano ci è difficile reperire date certe sulla nascita o sulla morte.
Questo libro, così, si pone come un’opera di cui non si potrà fare a meno di consultare in futuro se si vorrà leggere una storia seria su Gesù di Nazareth. Perfino Benedetto XVI, che non è mai stato tenero con la esegesi storico-critica, cita l'opera dell’esegeta americano Meier nel suo libro su Gesù (Gesù di Nazareth, pg. 140).


Meier J. P., Un Ebreo marginale, Brescia, 2001. 

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