Ho letto in questi giorni il libro di John P. Meier intitolato: Un Ebreo
marginale. Naturalmente solo il primo volume per adesso, che sono quasi
cinquecento pagine, condito di poderose note e bibliografia. Perché l’opera
consta di ben cinque volumi, il secondo libro addirittura di mille pagine,
mentre si sta aspettando che l’autore produca il quinto, sperando ce la faccia
anche come tempo, visto che fra l’uno e l’altro volume ci impiega circa dieci
anni. Di cosa tratta l’Ebreo marginale? Di un tema che ha appassionato i
critici e gli storici tra i più famosi e raffinati. Cosa possiamo dire di Gesù
dal punto di vista della storia, prescindendo cioè dalla fede e dalla teologia?
Usando, cioè, soltanto ciò che i documenti, fonti dipendenti ed indipendenti,
ci dicono su questo personaggio che ha cambiato la storia dell’umanità e la
vita di generazioni di uomini e donne. La ricerca sul cosiddetto Gesù storico (della
storia o reale) sembrava giunta ad un’empasse. Per alcuni nulla si poteva
affermare sulla storicità delle fonti, per altri i risultati erano così scarni
che ogni impresa doveva considerarsi improba, se non votata al fallimento. L’opera
di Meier ha il pregio di riprendere in mano la questione in maniera nuova.
Innanzitutto perché fin da subito esplicita il metodo e mai vi si discosta. Elenca
presto i criteri storici ai quali si atterrà nel valutare il materiale
proveniente dal Gesù storico: il criterio dell’imbarazzo; della discontinuità;
della molteplice attestazione; della coerenza e quello del rifiuto e dell’esecuzione.
Certo oggi la ricerca storica sul primo secolo ha fatto
progressi enormi, la nostra conoscenza sull’ambiente nel quale Gesù crebbe e
operò ha ricevuto apporti notevoli dalla conoscenza sempre più raffinata del
giudaismo dell’epoca, dai reperti archeologici sempre così ricchi e importanti
(si pensi al ritrovamento dei rotoli di Qumran). Alla fine dell’indagine ci
aspetteremmo di sapere chissà cosa, forse di avere una carta d’identità del personaggio
in questione o di essere assicurati che tutto quello che viene riportato dai quattro
scritti chiamati vangeli sia storico ed accertabile. E non spesso filtrato
dalla particolare teologia di ogni autore, dalla fede sua o della comunità di
appartenenza che ha consegnato e talvolta generato una particolare tradizione
su Gesù. Oppure dal lungo cammino redazionale che ogni singolo libretto ha
intercorso per arrivare a noi come è oggi, coi suoi molteplici testimoni. Qualcuno
potrebbe rimanere deluso. Meier verso la fine del libro così scrive: “Gesù di
Nazareth nacque – più verosimilmente a Nazareth e non a Betlemme – nel 6 o 7
a.C. circa, qualche anno prima della morte del re Erode il Grande (4 a.C.).
Dopo un’educazione non straordinaria in una famiglia devota di contadini giudei
della bassa Galilea, fu attratto dal movimento di Giovanni il Battista, che
cominciò il suo ministero nella valle del Giordano verso la fine del 27 d.C. o all’inizio
del 28. Battezzato da Giovanni, subito, per conto suo, Gesù cominciò, agli inizi
del 28, il suo ministero pubblico, quando aveva circa trentatré o trentaquattro
anni. Alternò regolarmente la sua attività tra la nativa Galilea e Gerusalemme
(inclusa l’area circostante della Giudea), salendo alla città santa per le
grandi feste, quando grandi folle di pellegrini potevano garantire un uditorio
che altrimenti non avrebbe potuto raggiungere. Questo ministero si protrasse
per due anni e pochi mesi. Nel 30 d.C., mentre Gesù era a Gerusalemme per l’approssimarsi
della festa di pasqua evidentemente ebbe la sensazione che la crescente
ostilità delle autorità del tempio di Gerusalemme nei suoi confronti stesse per
raggiungere il culmine. Celebrò un solenne banchetto di addio con il gruppo più
ristretto dei suoi discepoli un giovedì sera, il 6 aprile secondo il nostro
computo moderno, l’inizio del quattordicesimo giorno di nisan, il giorno della preparazione
di pasqua, secondo il compito liturgico giudaico. Arrestato nel Getsemani nella
notte fra il 6 e il 7 aprile, dapprima fu esaminato da alcuni capi giudei (meno
verosimilmente dall’intero sinedrio) e poi consegnato a Pilato venerdì, 7
aprile di buon mattino. Pilato, rapidamente, lo condannò a morte per
crocifissione. Dopo essere stato flagellato e schernito, Gesù fu crocifisso,
fuori Gerusalemme, nello stesso giorno. Morì la sera di Venerdì, 7 aprile 30.
Aveva circa trentasei anni”. (pg. 412).
Questo è quanto. Ma è tantissimo se pensiamo che Gesù fu,
appunto, un “marginale”, vissuto ai confini/margini dell’imponente impero
romano. Di molti personaggi pur notissimi dell’antichità (Alessandro Magno per
esempio) sappiamo molto meno. Di qualche imperatore romano ci è difficile
reperire date certe sulla nascita o sulla morte.
Questo libro, così, si pone come un’opera di cui non si
potrà fare a meno di consultare in futuro se si vorrà leggere una storia seria
su Gesù di Nazareth. Perfino Benedetto XVI, che non è mai stato tenero con la
esegesi storico-critica, cita l'opera dell’esegeta americano Meier nel suo
libro su Gesù (Gesù di Nazareth, pg. 140).
Meier J. P., Un Ebreo marginale, Brescia, 2001.
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